Statuetta femminile in bronzo, ritrovata in mare in una delle insenature del porto, riempita di piombo per essere utilizzata come contrappeso. Molto consunta (viso e mani). Traccia di possibile applique sulla testa. Interpretabile, probabilmente, come peso di stadera.
Il manufatto presenta evidenti tracce di perforazioni operate da organismi animali endolitici. Si notano numerosi piccoli fori di forma circolare, disposti su gran parte della superficie che possono essere attribuiti all’azione perforante di Spugne endolitiche (famiglia Clionaidae), visibile anche grazie alla presenza di dense camere confluenti nel materiale, che la spugna scava attivamente. Alcune di esse presentano un pigmento violaceo visibile soprattutto in prossimità del foro superiore dell’ancora litica, che potrebbe essere attribuibile alla crescita di una spugna endolitica caratterizzata da una vistosa colorazione rosa-violaceo, Cliona schmidtii, già rinvenuta su altri manufatti archeologici sommersi.
Si notano anche fori con una particolare forma ad 8, che corrispondono alle aperture esterne della galleria scavata nella roccia dal mollusco bivalve Rocellaria dubia, specie colonizzatrice di substrati calcarei sommersi. Per quanto riguarda la colonizzazione epilitica incrostante, si osservano esemplari di Policheti Serpulidi con i loro caratteristici tubi calcarei e colonie di briozoi incrostanti di colore bianco. È presente infine un foro di forma irregolare, derivante dalla confluenza di gallerie, che può essere attribuibile al bivalve perforante Lithophaga lithophaga (dattero di mare).
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Molti studiosi si sono cimentati nello studio delle c.d. ancore litiche. Tra essi Honor Frost, Dan E. McCaslin, Alessandra Nibbi, Shelley Wachsmann e János Attila Tòth hanno elaborato delle cronologie e tabelle spesso tra loro contrastanti. Possiamo comunque affermare che questa tipologia, proprio per la sua semplicità, è indubbiamente assai antica ed è riscontrabile fin dall’età del Bronzo, come testimoniano gli esemplari rinvenuti nel santuario di Ugarit. Certamente non circoscrivibile solo a questo periodo, come affermato da McCaslin, visto che i relitti di Antidragonera e di Ognina D ne hanno restituito alcune. Un discorso analogo vale per le teorie della Frost, che alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso le voleva impiegate solamente sulle navi fenice e abbandonate nell’età del Ferro a causa del peso.
A dimostrazione che questa particolare tipologia di ancora ha avuto un utilizzo cronologicamente ampio possiamo menzionare i reperti di epoca medievale (XIV secolo), con uno o più fori, pubblicati da Avner Raban e provenienti dal porto di Cesarea da stratigrafie certe e sigillate. Sempre Raban ne documenta l’uso in Italia anche in anni recenti.
E’ certo, inoltre, che molti di questi reperti abbiano avuto usi alternativi a quelli più intuitivi dell’ancoraggio. Forme particolari sembrerebbero ricondurre più ad utilizzi legati alla pesca come corpi morti o a pietre da trebbiatura reimpiegate.
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