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L’antica città messapica e poi romana di Egnazia si trova poco a nord del piccolo centro di Savelletri (BR), esattamente al confine tra l’antica Peucezia e la Messapia (attuale Salento).
Si tratta indubbiamente di uno dei più interessanti siti archeologici della Puglia, sia per l’estensione che per i contesti archeologici che ha restituito.
La città preromana è sicuramente legata alla cultura messapica, come testimoniato anche dalla importante classe ceramica datata al IV-III secolo a.C. che ha preso il suo nome.

Se del periodo messapico sono rimaste visibili poche testimonianze architettoniche, rappresentate soprattutto dall’imponente cinta muraria, all’epoca romana e tardoantica si devono gli interventi monumentali più importanti. Soprattutto ai romani sono attribuibili alcuni edifici (tra questi la basilica civile, il foro, il sacello delle divinità orientali e l’anfiteatro) ed una certa razionalizzazione urbanistica che vide la creazione di insulae irregolari ma, soprattutto, la costruzione della via Traiana che attraversava la città ed apportò ad essa fondamentali benefici economici.

Nel I secolo a.C. fu costruito il porto che forse si deve all’amico e sodale di Ottaviano, Marco Vipsanio Agrippa.
All’epoca tardoantica si devono le due basiliche paleocristiane che denotano, insieme ad altri elementi, l’importanza che la città assunse in questo periodo, divenendo anche sede episcopale.

Le testimonianze archeologiche e documentarie ci attestano una Egnazia ancora abitata in epoca medievale, fino al lento abbandono in età tardomedievale.
In epoca moderna l’antico sito divenne bersaglio dei cacciatori di antichità, che fecero scempio soprattutto dei corredi funerari.
I primi scavi ufficiali ebbero inizio con il XX secolo e sono proseguiti fino ad oggi con mirati progetti di ricerca.

La via Traiana, che transitava all’interno della città

La città

La prima citazione dell’antica Egnazia in età moderna si deve a Leandro Alberti che, poco dopo la metà del XVI secolo, la menziona nella sua Descrittione di tutta Italia.

Una prima pianta della città fu redatta dallo studioso ed antiquario Francesco Maria Pratilli che nel 1745 la pubblicò nella sua opera Della Via Appia.

L’area è stata spesso oggetto di saccheggi indiscriminati che sono iniziati almeno a partire dal XVII secolo. E’ noto, ad esempio, un episodio del 1846 quando, a causa di una forte crisi economica, gli abitanti di Fasano e Monopoli si diedero alla ricerca di reperti che rivendevano agli antiquari napoletani con la complicità indiretta degli ispettori demandati al controllo. Il fatto è noto perché scatenò le ire del grande storico e filologo Theodor Mommsen ed il suo protrarsi fu condannato da Ludovico Pepe nel 1882 nella monografia dedicata ai resti della città, dove essa viene descritta analiticamente.

I primi interventi sistematici di scavo ad Egnazia ebbero avvio negli anni precedenti la prima Guerra Mondiale. L’allora Soprintendente Quintino Quagliati portò alla luce la cosiddetta piazza porticata, una basilica paleocristiana ed un tratto della via Traiana.

Poco prima del Secondo Conflitto Mondiale si mise mano all’acropoli dove vennero individuate fasi dell’età del ferro.

Una prima pianta della città fu redatta dallo studioso ed antiquario Francesco Maria Pratilli che nel 1745 la pubblicò nella sua opera Della Via Appia.

L’area è stata spesso oggetto di saccheggi indiscriminati che sono iniziati almeno a partire dal XVII secolo. E’ noto, ad esempio, un episodio del 1846 quando, a causa di una forte crisi economica, gli abitanti di Fasano e Monopoli si diedero alla ricerca di reperti che rivendevano agli antiquari napoletani con la complicità indiretta degli ispettori demandati al controllo. Il fatto è noto perché scatenò le ire del grande storico e filologo Theodor Mommsen ed il suo protrarsi fu condannato da Ludovico Pepe nel 1882 nella monografia dedicata ai resti della città, dove essa viene descritta analiticamente.

I primi interventi sistematici di scavo ad Egnazia ebbero avvio negli anni precedenti la prima Guerra Mondiale. L’allora Soprintendente Quintino Quagliati portò alla luce la cosiddetta piazza porticata, una basilica paleocristiana ed un tratto della via Traiana.

Poco prima del Secondo Conflitto Mondiale si mise mano all’acropoli dove vennero individuate fasi dell’età del ferro.

L’inaugurazione del Museo Archeologico (1975) coincise con lo scavo della necropoli orientale e con una sistemazione generale degli scavi per renderli fruibili al grande pubblico.

Ma si deve al Progetto “Egnazia: dallo scavo alla valorizzazione”, elaborato dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Bari (Raffaella Cassano), in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e il Comune di Fasano, l’avvio di campagne di scavo pensate per rispondere a specifici quesiti relativi soprattutto all’urbanistica della città antica e tardoantica.

Grazie alla sua posizione Egnazia è sempre stata un attivo centro di scambi e commerci. Questa sua vocazione è maggiormente evidente a causa del suo affaccio sul mare ed alla costruzione della via Traiana (II secolo d.C.) che transitava proprio attraverso l’abitato della città pugliese.

La città divenne municipium romano probabilmente dopo il bellum sociale. In questa sede, focalizzata soprattutto sulle strutture del porto romano sommerso, risultano di interesse gli interventi edilizi curati nel I secolo a.C. verosimilmente da Marco Vipsanio Agrippa che fu sodale di Ottaviano Augusto e patrono della città, come attestato da un’iscrizione.

Questi furono realizzati molto probabilmente per compensare il vecchio centro messapico dell’appoggio dato ad Ottaviano durante la guerra civile.

Oltre al porto, al periodo di Agrippa sarebbero attribuibili la costruzione dell’anfiteatro, delle prime terme pubbliche, del criptoportico, della basilica civile e della c.d. piazza porticata.

Proprio questa, in realtà preesistente dalla media età ellenistica, sembra essere in stretta connessione con la vicina portualità ed i commerci della città, soprattutto in età tardoantica. Infatti, a partire dal tardo IV secolo d.C. e fino al VII, in quest’area avvengono ristrutturazioni e modifiche che portano alla costruzione di diversi ambienti con materiale di reimpiego, interni ed esterni al porticato ormai defunzionalizzato. La vocazione commerciale ed artigiana di questi vani è stata confermata anche dal ritrovamento di anfore di produzione africana ed orientale, terra sigillata, lucerne, armi, pesi da rete ed aghi per il loro restauro.

La città dovette conservare una certa importanza anche in epoca tardoantica. Viene infatti ricordata nell’Itinerarium Burdigalenseun documento del IV secolo d.C. (334 d.C. ca.) molto importante per i movimenti delle persone da e verso la Terrasanta. Esso resoconta fedelmente il percorso di un pellegrino dell’antica Bordeaux verso quei luoghi citando stationes e mutationes, oltre a centri abitati ove erano presenti comunità cristiane. Ed Egnazia vi compare con un’interessante storpiatura del toponimo.

Anche la Tabula Peutingeriana cita l’antico centro messapico riportandolo come Gnathia.

Nel VI secolo d.C. la città risulta sede episcopale con un presule di nome Rufenzio, che prese parte ai concili di papa Simmaco nel 501 e 502. Alcune fonti ed i dati archeologici documentano però la diffusione del culto cristiano sicuramente dal IV secolo, quando ad Egnazia fu costruita una basilica che, ad oggi, risulta essere la più antica della Puglia.

Una certa prosperità economica in epoca tardoantica è direttamente connessa alla presenza della sede vescovile, che promosse anche una discreta attività edilizia. Questa è legata probabilmente anche alla crisi economica susseguente alla riforma amministrativa di età costantiniana e ad una ipotizzata parziale distruzione della città avvenuta per cause sismiche nel 365 d.C. A partire da questo momento il volto della città antica viene radicalmente modificato.

Oltre alla basilica episcopale, con il relativo battistero, subisce una pesante trasformazione, forse in edificio di culto a pianta longitudinale, anche il grande monumento di epoca imperiale a sud del foro.

Tra V e VI secolo vengono inoltre edificate la c.d. basilica meridionale ed una piccola chiesa absidata mononave, con pavimentazione in laterizi e transenne presbiteriali marmoree, nella parte periferica nord occidentale dell’abitato.

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Approfondimenti

Le possenti mura della città, risalenti al periodo messapico (IV sec. a.C.), furono realizzate in opera quadrata a doppia cortina con terrapieno e fossato.

Il loro perimetro di due chilometri fu raddoppiato nel corso del III secolo a.C. e lo spazio tra i due muri riempito con pietre e terra. Questa nuova cinta, alta otto metri, fu dotata di un nuovo fossato largo venti metri, mentre la sua parte interna ospitava camminamenti di ronda e scalinate per accedere ai terrazzamenti.

Struttura superstite della cinta muraria nord, oggi praticamente in mare

Il loro esame tecnico costruttivo è stato possibile grazie all’unico lacerto sopravvissuto, chiamato localmente “muraglione”, conservatosi oggi in acqua per ben oltre 7 metri in elevato lungo il lato nord della cinta muraria della città. La base di questa struttura fu impostata intagliando la roccia di fondazione in base alla pendenza del terreno e mettendo in opera i primi due filari di conci contravvenendo allo stile isodomico. Tre blocchi superstiti dell’ultimo filare, di testa e con una superficie arrotondata e sporgente rispetto al filo esterno del muro, sembrano costituire la parte sommitale della struttura.

Il circuito murario di Egnazia doveva essere dotato di 4 porte. La loro ubicazione è stata chiarita solo in parte. Durante una campagna di scavo condotta nel 1967 ne furono indagate due: quella di nord-ovest, già individuata in una foto aerea del 1966, ed una a nord, nei pressi dell’odierna strada provinciale, dotata presumibilmente di una torre.

Il tratto nord delle mura di Egnazia in una foto del 1927 (da C. Colamonico, Da Torre Pelosa a Egnazia, in Le vie d’Italia, Milano, agosto 1927)

La monumentalità di queste mura, come detto, è oggi solo in parte visibile lungo un breve tratto del lato nord, oggi praticamente in acqua, descritto ed immortalato a più riprese in foto e disegni.

Il lato nord delle mura oggi

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L’acropoli, il cuore della città, fu individuata in una posizione fortemente strategica, sul mare e nei pressi di due profonde insenature naturali. Le indagini archeologiche, condotte a più riprese in anni diversi, hanno consentito di appurare che essa presenta una complessa e potente stratigrafia che parte dal periodo protostorico in due fasi insediative (età del Bronzo e del Ferro), tutte relative ad un villaggio dotato di un primo muro di cinta costruito con pietrame a secco.

Un edificio sacro fu costruito nella parte centrale dell’acropoli nel III secolo a.C. Esso subì modifiche nel II-I a. C. e poi una ulteriore monumentalizzazione è attestata nella piena età imperiale. Questo tempio era rivolto al mare e circondato sugli altri lati da un porticato.

Acropoli di Egnazia, veduta generale con in primo piano la struttura templare e sullo sfondo la fortezza bizantina

L’acropoli, il cuore della città, fu individuata in una posizione fortemente strategica, sul mare e nei pressi di due profonde insenature naturali. Le indagini archeologiche, condotte a più riprese in anni diversi, hanno consentito di appurare che essa presenta una complessa e potente stratigrafia che parte dal periodo protostorico in due fasi insediative (età del Bronzo e del Ferro), tutte relative ad un villaggio dotato di un primo muro di cinta costruito con pietrame a secco.

Un edificio sacro fu costruito nella parte centrale dell’acropoli nel III secolo a.C. Esso subì modifiche nel II-I a. C. e poi una ulteriore monumentalizzazione è attestata nella piena età imperiale. Questo tempio era rivolto al mare e circondato sugli altri lati da un porticato.

L’area del tempio con gli edifici collegati

A partire dal IV secolo d.C., come presso la Piazza Porticata NW (cfr. scheda sulla città), è stata individuata una trasformazione funzionale che interessa proprio il lato est del porticato e l’area compresa tra questo edificio e il tempio. Il portico orientale fu modificato con la costruzione di tre ambienti destinati allo stoccaggio delle merci, realizzati con  muri a secco formati da materiali di riutilizzo. Quest’area in età tardoantica non assunse soltanto un esclusivo carattere commerciale e produttivo, ma nel VI secolo dovette ospitare la residenza, strutturata intorno ad un atrio centrale, di un alto esponente della guarnigione bizantina.

Una delle torri del castrum bizantino indagate stratigraficamente

Questo assetto sembra durare fino alla fine del VII secolo d.C. quando un crollo generale, forse legato alle lotte tra bizantini e longobardi, segna l’abbandono del complesso artigianale-produttivo. In realtà monete in bronzo (folles) e ceramiche di XI secolo, rinvenute in questo crollo, documentano una frequentazione anche subito dopo il Mille.

Sempre il porticato est, dopo un prolungato abbandono, sembra essere riutilizzato nel XII secolo, come attesta la costruzione di un nuovo piano di calpestio. Il nuovo assetto è forse legato alla vicina fortezza, costruita nel VI secolo. Fin da quest’epoca, infatti l’acropoli assunse una chiara funzione difensiva grazie soprattutto alla presenza di questo edificio, dotato di quattro torri angolari, che non a caso presentava un ingresso rivolto a mare ed un passaggio minore verso la città antica. L’esame delle tecniche edilizie e dei paramenti murari hanno trovato riscontri probanti in analoghe fortezze bizantine di epoca giustinianea.

La torre nord-occidentale di questo castrum, indagata recentemente, riutilizzò integralmente uno degli ambienti esterni al portico di età imperiale, il cui accesso venne chiuso per consentire la costruzione omogenea del paramento esterno a doppia cortina e con il profilo a scarpa, tipico delle strutture difensive bizantine dell’epoca.

Il castrum ha conservato anche una torre sud-occidentale, di pianta quadrangolare e dalle spesse murature.

Un importante antemurale, edificato ex novo, doveva costituire una prima linea di difesa della fortezza.

Piccolo oratorium all’interno della fortezza

Stando ai dati storici generali, Egnazia con il suo castrum dovette essere occupata dai bizantini fino agli anni 80 del VII secolo, epoca successiva alla fallita spedizione italiana dell’imperatore Costante II. Questa ebbe come conseguenza la reazione longobarda guidata dal Duca di Benevento Romualdo, che portò alla conquista di Brindisi e Taranto.

La fortezza ed il piccolo villaggio, sulla base delle stratigrafie rinvenute, risultano ancora attivi nei secoli immediatamente successivi al Mille, tanto che il toponimo di Augnatium compare anche nell’opera Geographica di Guidone, all’inizio del XII secolo, che la descrive come un centro fortificato tra i boschi.

Alcuni frammenti ceramici datati al XV secolo d.C. consentono di ipotizzare una frequentazione anche in quest’epoca. E’ certo, infatti, che alcune famiglie dedite alla pastorizia abitassero nelle tombe a camera dell’antica città.

L’area dell’acropoli subisce un ulteriore riassetto nel corso del XVI secolo, quando, su ordine del vicerè di Napoli don Pedro Parafan de Ribera,  vi viene edificata, fronte mare, una torre di avvistamento contro la pirateria e la guerra di corsa barbaresca. La torre di Anazzo o Adanazzo divenne sede nel XIX secolo delle guardie doganali.

In base ai disegni e alle indicazioni di Francesco Maria Pratilli sembra che questa torre, oggi scomparsa, fosse di pianta quadrata e circondata ai lati da due rivoli d’acqua che scaricavano a mare.

La fortezza bizantina dal drone

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– Augnatium (inizi XII sec. d.C., Guidone (Guido da Pisa), Geographica, 27)2

– Torre d’Adanazzo (1744, D’Anville, Analyse géographique de l’Italie)3.

– Egnazia (1745, Pratilli, Della via Appia)4

Di questo autore sono interessanti alcuni passaggi:

p. 544: “mentre s’imbarcavano nel suo porto (di Egnazia) i passeggieri, o le milizie, e sbarcavano nella città di Durazzo, che quasi rimpetto gli stava….”

p. 544: “Era Egnazia poco lontano dal mare in sito molto ameno, e spezioso, abbondevole di acque dolci, e limpide siccome ancor di presente vi si ritrovan dappresso, e spezialmente vicino all’antica muraglia, che la cingeva dalla parte del mare, ove scaturisce un’acqua assai buona, che da’ paesani si chiama la fontana di Agnazzo, ed è la più decantata sorgiva di quella spiaggia. Dell’antica città riconosconsi chiaramente le vestigia nel castello, nelle muraglie, e nel fossato, in un misero avanzo di vecchio edificio, che stimasi tempio, e ne’ luoghi, che chiamano il parco, e ‘l seggio, dove ha un corridore sotterraneo a volta, in cui per un piccol forame si può avere l’ingresso, con alcune lunette, con in mezzo i spiragli, che servivano a illuminare i bagni, e le terme.5

Il Pratilli pubblicò anche una pianta della città di Egnazia dove viene collocata anche la Torre di Agnazzo. Planimetria riportata anche dal Pepe.6

La pianta di Egnazia del Pratilli

– Anazzo o Torre d’Anazzo (1751, Diderot – D’Alembert, Encyclopedie)7

Abate di Saint-Non (1781)

Jean-Claude Richard de Saint-Non (1727-1791), meglio noto come Abate di Saint-Non, fu un umanista, archeologo e viaggiatore di origini francesi. Nel corso della sua vita compì un lungo viaggio in Italia, rimanendo affascinato dai territori del Mezzogiorno, cui dedicò un’opera enciclopedica, pubblicata in un arco di tempo di cinque anni. Qui, la sua attenzione è attratta dall’area archeologica di Egnazia (BR):

Le lendemain , nous rencontrâmes à sept milles [da Monopoli], les ruines de l’antique Égnatia, qui font voir encore l’étendue de cette ville. Elle était considérable, et arrivait jusque sur les bords de la mer. On aperçoit encore quelques vestiges, qui pourraient être ceux d’un mòle. Il est vraisemblable que la construction de ce mòle n’était pas antique, mais qu’il avait été élevé sur les bords de la mer, des débris de l’ancienne ville, dont les murailles sont encore, en quelques endroits, de cinq pieds d’élévation, et en très grosses pierres posées à sec. Nous distinguâmes même au milieu de ces débris, et malgré le blé qui y était semé, les traces interrompues des rues et quelques angles de maisons.” (ABATE DI SAINT-NON 1781-86, ediz. 1829, tomo III, p. 4).

– Una prima citazione delle strutture portuali è reperibile nella descrizione di Emanuele Mola8 che nel 1796 sembra averle individuate in un passaggio della sua descrizione della città.

– Nel 1799 Gian Luigi Tanzi (1722-1804), Commissario di guerra del Dipartimento di Bari, in una lettera del 28 Piovoso (16 febbraio) 1799, anno primo della Repubblica napoletana, cita una ribellione dei polignanesi e dei fasanesi che depredarono anche la Torre di Anazzo9.

– Le rovine vengono attribuite all’antica Egnatia dall’abate Romanelli (1818)10 che sembra ispirarsi molto al Pratilli.

– Anazzo o Torre di Anazzo (1826, Nuovo Dizionario geografico Universale)11

– Salvatore de Renzi nel 1826 descrive i miasmi che si sviluppano dalle paludi di Egnazia12

– Giuseppe Castaldi ricorda la fonte di Anazzo nel 184213

– Nicola Corcia nel 1847 menziona la presenza del porto14 riportando quanto osservato da un altro dotto viaggiatore15

– L’archeologo francese Lenormant nel 1881 visita Egnazia e fa un’interessante descrizione del suo porto16

– Ludovico Pepe dedica un intero libro ad Egnazia nel 188217. Vi viene pubblicata anche una planimetria generale della città. Nel IX capitolo “Rovine” si affronta anche la problematica relativa al porto con una discussione sulle ipotesi degli studiosi precedenti18.

Pepe riporta interamente il passo del Mola (v. nota 8), ma dichiara di non vedere chiaramente alcuna tomba in acqua nell’area del porto. In realtà tutto il braccio di mare occupato dal porto romano conserva, fino a 3 mt di profondità, resti di sepolture di età messapica.

NOTE

1La Cosmografia ravennate è una lista di luoghi e città del VII secolo d.C., che presenta il mondo allora conosciuto. Prende il suo nome dalla città italiana di Ravenna, dove il testo fu realizzato da un autore anonimo. Consiste in una sequenza di toponimi che vanno dall’India fino all’Irlanda. Il testo lascia supporre che probabilmente l’autore ha frequentemente usato delle mappe come fonti. Ma, sebbene graficamente si presenti come una mappa, è in realtà una metodica elencazione di località, tratte dalla mappa. L’edizione critica consultata si deve a PINDER, PARTHEY 1860, IV, 31, p. 261 e V, 1, p. 329. L’edizione più recente è quella del SCHNETZ, 1942 (ristampa 1990).

2La Geographica di Guido da Pisa è in quattro libri: il primo libro, composto di brani tratti dalla Cosmographia dell’Anonimo ravennate, dall’Historia Longobardorum di Paolo Diacono e dalle Collectanea di Solino, descrive i territori dei quali si componeva l’Impero romano; il secondo libro descrive brevemente l’antica società romana, seguendo le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, il terzo tratta della geografia, seguendo ancora l’Anonimo ravennate, e il quarto libro descrive la guerra di Troia secondo il De excidio Troiae historia di Darete Frigio e le gesta di Alessandro Magno dello Pseudo-Callistene. L’edizione impiegata è sempre quella di PINDER, PARTHEY 1860, 27, p. 467 (cfr. nota precedente).

3D’ANVILLE 1744, p. 224. Jean-Baptiste Bourguignon d’Anville nacque a Parigi nel 1697. E’ stato un importante geografo e tutte le sue mappe furono molto apprezzate sia dai colleghi che dai navigatori. Nel 1744 diede alle stampe la sua mappa dell’Italia e spiegò nell’analisi geografica come era stata composta; Ridusse l’estensione attribuita al paese di diverse leghe quadrate e quando Benedetto XIV ordinò verifiche mediante triangolazioni, Anville scoprì che queste misure confermavano ciò che lui stesso aveva scoperto.

4PRATILLI 1745, pp. 544-546. Francesco Maria Pratilli (1689 – 1763) è stato un sacerdote, studioso e antiquario italiano, membro dell’Accademia Ercolanese. Fu spesso criticato dai colleghi del tempo, tra cui il Mommsen, per la citazione di fonti apocrife e false. Tuttavia, nel Novecento sono state riconosciute come autentiche alcune iscrizioni epigrafiche latine riportate dal canonico capuano (cfr. ad es. PALMIERI 1982, pp. 417-431 e SOLIN 1998, nota 120 a pag. 93).

5La presenza di questa fontana (vengono citati i toponimi Torre di Anazzo e Fontana di Agnazzo) è ricordata anche in DI MEO 1819, p. 334. Anche CORCIA 1847, tomo III, p. 489 riferisce della presenza della fontana di Agnazzo, interpretando la citazione oraziana “lymphis iratis extructa” a favore di una fondazione nei pressi di copiose sorgenti. In realtà altri studiosi, tra cui il Pepe (PEPE 1882, p. 157 ss.) danno un’interpretazione opposta del passo oraziano, ovvero come se la città fosse stata costruita in “ira alle acque” o con “torrenti contrari”. Molto critico verso il Pratilli e la sua serietà come studioso è sempre PEPE 1882, p. 159 (cfr. scheda su questo autore infra).

6PEPE L. 1882, Tav. 1

7DIDEROT, D’ALEMBERT 1751, Tome I, p. 438: “ANAZZO ou TORRE-D’ANAZZO, (Géog. mod.) ville de la province de Bari au royaume de Naples. On croit que c’est l’ancienne Egnatia ou Gnatia. Quelques Modernes la nomment Gnazzi ou Nazzi”.

8MOLA 1796, pp. 11-12: “Il maggior cambiamento però di quel lido parmi che si ravvisi nel porto dell’antica città, il quale resta oggi sotto la Torre militare detta di Anazzo, e che serba ancora tutta la figura del suo antico stato. Ammirai dunque nel fondo dell’acqua che lo riempie, una quantità di ampie tombe quadrate, quasi tutte prive de’ loro coperchi, che col favor della calma, e di un bel mattino di primavera si offrirono chiaramente a’ miei curiosi sguardi. Il lido poi superiore, e contiguo tutto era similmente sparso di un numero prodigioso di tali antichissimi avelli incavati nel sasso, e spogliati del pari de’ loro coperchi. Vedeansi questi senz’ordine in tutt’i sensi situati, e di tutte le misure, e forme….Ecco ad evidenza stabilito il sepolcreto egnatino, il quale nel prisco tempo dovè molto distendersi verso del mare in un tratto di terra occupato posteriormente dalle sue onde, che vi avranno nella parte più bassa formato il porto in un’epoca più recente della formazione del sepolcreto medesimo, da me attribuito alla più remota età….Imperocchè non altrimenti potrà intendersi, come in un porto sepolcri rinvengasi e sepolcri pure nel lido, esposti al furor delle onde, dei venti e delle tempeste” Il Pepe (PEPE, 1882, p. 153-155 ) fa alcune osservazioni su questo testo che, a suo parere, non è del tutto comprensibile (cfr. infra).

9Citata in DE LUCA 2016, p. 22, fig. 29 : “… i naturali di Polignano e Fasano spogliarono di cannoni, fucili, polvere, palle ed altre monizioni le torri marittime di san Vito, di Rapagnona e Anazzo … e nonostante fosse stato ordinato alla Università di subito restituirle, pure non è stato possibile con tutta l’assistenza del tenente don Francesco Anzalone comandante del reparto di Monopoli”. Purtroppo De Luca non cita l’origine della fonte.

10ROMANELLI 1818, p. 146: “Le ruine di questa antica città sono ancora visibili, e ne resta tuttavia il nome ad una fontana e ad una torre marittima per non farci dubitare del sito, dove fu fondata. Ella s’innalzava presso la riva del mare, circondata da fortissimo muro con fosso profondo, che le serviva di difesa, ed avea nel mezzo una torre o castello, che dominava il vicin porto….Ma l’oggetto più piacevole tra queste ruine è la fontana, che abbiamo accennata, col nome di fonte di Anazzo, che colle chiare, e fresche sue acque offre allo stanco passeggiere in una terra arsa, e bisognosa di umore, il più desiderato ristoro.

11CAVAGNA SANGIULIANI DI GUALDANA A., 1826, Tomo I, pp. 514-515: “...città del regno di Napoli, nella prov. di Bari. Credesi che sia l’ant. Egnazia o Gnatia, città distrutta della Puglia…

12DE RENZI 1826, pp. 177-178

13CASTALDI 1842, p. 55: “Il più utile però, che vi rimane tuttora, è una fontana di limpide acque chiamata di Anazzo molto giovevole in quella calda contrada”.

14CORCIA 1847, p. 490: “Più lungi al mezzodì vidi il piccolo porto, anche aperto dall’arte nella roccia,nel quale un rivoletto portava il suo scarso tributo”.

15HUGHES 1820, vol, 2, p. 360-361: “Farther to the south appears another small port, like the former, cut chiefly by art in the rock; into this a rivulet which ran through the city, pours its scanty tribute during the hot months of the year and a violent torrent in the rainy season”

16 LENORMANT 1881-1882, p. 42: “Le plan de la ville est un carré long dont un de grands côtés s’appuie à la mer. C’est auprès du rivage, sur une petite colline d’une faible saillie, placée à égale distance des deux petits côtés du rectangle et par conséquent au milieu de la ville, qu’était bâtie l’acropole, dont les murailles sont aussi bien conservées et aussi nettement caractérisées que celles de l’enceinte extérieure de la cité. Cette forteresse commandait et protégeait deux petits bassins carrés, en partie creusés ou régularisés de main d’homme, entre lesquels elle était placée, l’un à nord et l’autre au sud de la colline. On y distingue encore sous les eaux les divisions, partiellement conservées, des cales de galères.”

17PEPE 1882

18PEPE 1882, pp. 152 ss.

BIBLIOGRAFIA

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Cavagna Sangiuliani Di Gualdana A1826, Nuovo Dizionario geografico Universale, Statistico – Storico – Commerciale…, Venezia.

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Schnetz, J. (a cura di) 1942, Itineraria Romana, vol. II: Ravennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographica, (ristampa 1990), Stuttgart.

Solin H. 1998, Corpus inscriptionum Latinarum, vol. X. Passato, presente e futuro, in SOLIN H. (a cura di) Epigrafi e Studi epigrafici in Finlandia, (Acta Instituti Romani Finlandiae 19), Roma.

La forma originale del toponimo Γνατία è attestata dalle iscrizioni e sembra di origine rodia. E’ naturalmente trasmessa in latino sotto la forma Gnatia, ricordata da Orazio nel I secolo a.C. e, circa un secolo dopo, menzionata in Pomponio Mela  e nella Naturalis Historia  di Plinio il Vecchio. In greco i geografi Strabone  e Tolomeo la riportano come Έγνατὶα, rispettivamente nel I e II secolo d.C.
Nell’Itinerarium dell’Imperatore Antonino Augusto (IV-V secolo d.C.) è citata sia come Egnatiae che come Gnatiae, mentre nella Tabula Peutingeriana  il termine è corrotto in Gnatie.

La tabula Peutingeriana

In epoca altomedievale (VII secolo d.C.) l’anonimo Ravennate parla di Gnatia e Ignatiae. Ma è con i secoli subito dopo il mille che il toponimo muta in maniera più sostanziale. Guidone nella sua opera Geographica (XII secolo d.C.) menziona Augnatium, mentre in molte mappe nautiche e portolani a partire dal 1300 viene localizzata precisamente come Annaso o Anazzo. Infine, in alcune carte di epoca moderna e contemporanea viene spesso citata la Torre di Adanazzo.

Evoluzione del toponimo secondo le citazioni delle fonti:

– Gnatia (I sec. a.C., Orazio, Sermones, I, 5, 97)1

– Έγνατὶα (I sec. a.C. – I sec. d.C., Strabone, Geographia, VI, 3, 8,)2

– Gnatia (I sec. d.C., Pomponio Mela, Corographia, II, 66,4)3

– Gnatia (I sec. d.C., Plinio, Naturalis Historia, II, 240 e III, 102)4

– Έγνατὶα (II sec. d.C., Tolomeo, Geographia, III, 1, 15)

– Egnatiae e Gnatiae (IV-V sec. d.C., Imperatoris Antonini Augusti Itinerarium, 117,4 e 315,4)5

– Gnatie (IV sec. d.C., Tabula Peutingeriana, VI, 5)

– Gnatia e Ignatiae (VII sec. d.C., Anonimo Ravennate, Cosmographia, V, 1)6

– Augnatium (inizi XII sec. d.C., Guidone, Geographica, 27)7

– Anazzo o Annaso con altre varianti nei portolani a partire dal XIV secolo

Secondo Paul Collart, (COLLART P., Une réféction de la ‘Via Egnatia’ sous Trajan, in Bulletin de Correspondance Hellénique, 59 (1935), pp. 397-400, n. 1-4) il nome della città apula non deriverebbe dal gentilizio latino Egnatius. La sua forma originale, Γνατία, attestata dalle iscrizioni (IG, XIV, 685), è invece di origine rodia, trasmessa in latino sotto la forma Gnatia. Piuttosto l’esistenza di una via di nome Egnatia può aver favorito il passaggio del toponimo Γνατία a forme più familiari in latino come quelle attestate in Strabone, Geogr., VI, 3,8, C 283 e Tolomeo, III, 1, 15 (Egnatia) o nell’Itinerarium Antonini 117,4 e 315,4 (Gnatiae) o nella Tabula Peutingeriana, VI, 5, (Gnatie).

D’altronde quando la strada romana venne costruita la città esisteva ormai, ribadisce il Collart, già da alcuni secoli. La via Traiana che l’attraverserà è posteriore di ben due secoli alla via Egnatia. Il ruolo di Gnatia rispetto a questo percorso appare dalle fonti come di minore importanza. Piuttosto maggiore rilievo, osserva il Collart, hanno Bari dove la Traiana raggiungeva il mare e Brindisi attestata come terminale sia nelle fonti epigrafiche che in quelle storico letterarie. La sola menzione di Gnatia come porto riguarda invece la navigazione di cabotaggio. Non si vede perché, conclude il Collart, la via Egnazia, vero e proprio prolungamento dell’Appia al di là del mare, avrebbe derivato il proprio nome da questa città.

NOTE

1http://latin.packhum.org/loc/893/4/4/4409-4415@1#4 : “dein Gnatia Lymphis iratis exstructa dedit risusque iocosque, dum flamma sine tura liquescere limine sacro persuadere cupit.

2Strabo. ed. A. Meineke, Geographica, Leipzig. 1877. : “παραπλέοντι δ᾽ ἐκ τοῦ Βρεντεσίου τὴν Ἀδριατικὴν παραλίαν πόλις ἐστὶν ἡ Ἐγνατία, οὖσα κοινὴ καταγωγὴ πλέοντί τε καὶ πεζεύοντι εἰς Βάριον: ὁ δὲ πλοῦς νότῳ.”

3http://latin.packhum.org/loc/929/1/1/23164-23170@1#1 : “Sinus est continuo Apulo litore incinctus nomine Urias, modicus spatio pleraque asper accessu, extra Sipontum aut ut Grai dixere Sipuntem, et flumen quod Canusium adtingens Aufidum adpellant, post Barium et Gnatia et Ennio cive nobiles Rudiae, et iam in Calabria Brundisium, Valetium, Lupiae, Hydrus mons, tum Sallentini campi et Sallentina litora et urbs Graia Callipolis”.

4https://la.wikisource.org/wiki/Naturalis_Historia/Liber_II. : “….in Sallentino oppido Gnatia inposito ligno in saxum quoddam ibi sacrum protinus fiammam existere, in Laciniae Iunonis ara sub diu sita cinerem immobile esse perflantibus undique procellis;” (II, 240). https://la.wikisource.org/wiki/Naturalis_Historia/Liber_III : “Poediculorum oppida Rudiae, Gnatia, Barium, amnes Iapyx a Daedali filio rege, a quo et Iapygia Amita, Pactius, Aufidus ex Hirpinis montibus 5 Canusium praefluens.” (III, 102).

5CUNTZ O. (a cura di), Itineraria romana. Itineraria Antonini Augusti et Burdigalense, 1929, ristampa Stutgardiae 1990. Il titolo di Itinerarium Antonini intende attribuire la paternità di questa raccolta di itinerari all’imperatore Antonino Augusto, identificato solitamente con Antonino Caracalla (211-217 d. C.) o con uno degli Antonini; ma in realtà si tratta dell’opera di uno o più redattori – per noi anonimi – attivi nel tardo impero (IV-V sec. d. C.), che hanno riunito e ricomposto materiali di diversa cronologia e natura.

6L’edizione critica consultata si deve a PINDER M., PARTHEY G. (a cura di), Ravennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographica ex libris manuscriptis, Berolini 1860, IV, 31, p. 261 e V, 1, p. 329. L’edizione più recente è quella del SCHNETZ, J. (a cura di), Itineraria Romana, vol. II: Ravennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographica, 1942 (ristampa 1990), B. G. Teubner, Stuttgart.

7GUIDONE, Liber Guidonis de variis historiis, 27: «De hinc in litore civitas Dirium, quae nunc Monopoli, est, habens in silvis oppida quaedam Augnatium» (ed. critica: SCHNETZ J., Itineraria romana, II, Lipsiae 1940, pp. 11-142). Cfr. anche PINDER, PARTHEY 1860, 27, cit.,  p. 467

Il porto

Sul litorale antistante l’acropoli della città antica, verso il mare, sono presenti importanti presenze archeologiche, tra cui incassi rettangolari intagliati nella roccia attribuibili a sepolture e, sott’acqua, a imponenti strutture cementizie, interpretabili come un attracco portuale di epoca romana.
Lo studio delle strutture subacquee ha evidenziato che si tratta di opere edilizie costruite direttamente in acqua. La tecnica costruttiva denota l’applicazione di metodologie che sono descritte nel testo cardine dell’architettura romana, il De Architectura di Vitruvio.

Ad Egnazia, sott’acqua, sono stati individuati distintamente due diversi modi di costruire indicati da Vitruvio: l’opera a piloni e l’opera a fondazione continua. Nel primo caso, si realizzano grandi piloni, o pilae, separati fra loro,  costruiti con la gettata di cementizio in casseforme stagne; nel secondo caso la struttura continua è realizzata con la gettata di cementizio, messa in opera in cassaforma inondata (per ulteriori informazioni su queste tecniche di costruzione si consiglia la lettura della scheda sulla tecnica edilizia portuale).
Dalle osservazioni effettuate tutte le pilae del “braccio” nord furono costruite in acqua “a secco” con cortina in opera reticolata a vista. Di questo lato sono purtroppo rimasti solo una propaggine vicina alla scogliera litoranea e le due “pilae” più esterne.

Il “molo” meridionale fu invece costruito tutto con casseforme inondate a fondazione continua. In questa zona sono visibili anche alcune tracce e fori dell’armatura lignea.

Il primo rilievo del porto romano eseguito dal Di Ceglie negli anni ’70
Documentazione di una pila del lato nord nell’ambito del progetto MUSAS. Da notare la conservazione di tre corsi in opera reticolata alla base della struttura (foto Nucleo Carabinieri Subacquei di Pescara).

Approfondimenti

“…per chi naviga da Brindisi lungo la costa adriatica, la città di Egnazia costituisce lo scalo normale per raggiungere Bari, sia per mare che per terra…”1. Strabone coglie benissimo, con la sua sintetica descrizione, le caratteristiche salienti dell’antica città di Egnazia, facendo un riferimento importante anche alla presenza di un porto che, al suo tempo, era stato costruito o ampliato da poco.

Dinanzi l’acropoli della città antica, verso il mare, sono infatti presenti importanti ritrovamenti, tra cui incassi rettangolari intagliati nella roccia attribuibili a sepolture e, sott’acqua, imponenti strutture interpretabili come un porto di epoca romana2. Queste dovettero ingrandire e perfezionare un attracco precedente che aveva utilizzato soprattutto la favorevole morfologia costiera.

 

Le strutture del porto romano secondo recenti rilievi

L’analisi di questi resti parte dalla propaggine più avanzata della costa settentrionale dell’insenatura (effettua l’immersione virtuale!). Qui è visibile un banco roccioso di forma rettangolare lavorata, da cui è possibile ipotizzare la genesi del lato nord del complesso. A circa 100 metri da questo, in direzione 45° N, si individuano sott’acqua due enormi blocchi parallelepipedi in opus coementicium , certamente sfalsati come orientamento rispetto a quanto individuato verso terra e distanti tra loro circa 3 metri.

Una delle pilae del lato nord del porto romano. Da notare l’opera reticolata in negativo (foto Nucleo Carabinieri Subacquei di Pescara)

Questi due plinti possedevano in origine cortine in opus reticulatum e ammorsature d’angolo in opus vittatum , oggi visibili per gran parte solo in negativo. Questa tecnica, molto diffusa tra la tarda età repubblicana ed il primo Impero in area tirrenica, ha consentito di datare queste strutture tra il I secolo a.C. ed il I d.C.

Lungo questa ideale linea di congiunzione, che unisce le strutture sopra descritte, si notano diversi elementi di crollo di varie dimensioni, sempre pertinenti ad opus coementicium con tracce di opera reticolata sulla malta. Poiché alcuni di questi conservano lo spiccato rispetto alla roccia del fondo, è possibile ipotizzare che i due plinti superstiti non fossero gli unici lungo questo asse. Tutti questi elementi sono forse attribuibili ad un’opera a piloni (opus pilarum), costruita grazie a cassaforme stagne, dimostrate dalla presenza della cortina in reticulatum. Si può comunque dubitare della costruzione di un molo continuo potendo ipotizzare, piuttosto, la messa in opera di singoli plinti di cui oggi non sono riconoscibili le reali funzioni.

Rispetto ai resti a nord, la parte meridionale, verosimilmente un molo, è più riconoscibile. Si tratta di una costruzione con orientamento SSO-NNE. Fu realizzata in opera cementizia con gettate su più piani sovrapposti, la base dei quali poggia direttamente sulla roccia ai limiti della morfologia sommersa che delimita quello che poteva essere l’antico porto. La lunghezza totale attualmente visibile di questo molo, suddiviso ora in tre tratte di dimensioni differenti, è di m 23. Sono evidenti in tutti e tre i tronconi i segni lasciati dall’armatura lignea con cui furono costruiti. La scomparsa dei pali verticali (destinae) e delle travi orizzontali di collegamento e tenuta (catenae) usati durante la costruzione, ha reso visibili i fori di infissione dei pali stessi ed i solchi paralleli che sono i negativi delle impronte delle travi.

Resti della struttura di m 10 x 10 alla radice del molo nord e del canale di scarico portuale

Della parte di questa struttura che era sopra il livello marino rimangono certamente due conci di carparo ed alcuni piombi che in origine fissavano probabilmente grappe in ferro.

Il molo sud, al contrario di quello nord, era una struttura continua a segmenti progressivi accostati, realizzata in una cassaforma subacquea e dotata di uno scheletro costituito da destinae a sezione circolare (30 cm di diametro), a cui erano collegate catenae di probabile sezione quadrata (cm 20-30 ca. di lato) che si ripetevano regolarmente. Pilastri esterni (stipites) perimetravano la struttura sopra descritta ed erano connessi al fondo tramite rinforzi in ferro necessari per penetrare il banco roccioso di calcarenite. Di questi particolari elementi sono state avvistate alcune tracce.

Circa alla radice del molo nord, nei pressi del bacino più interno, sono presenti delle tracce sul piano di roccia che sono state interpretate come piano di fondazione di un edificio a pianta approssimativamente quadrata con il lato di 10 m. Probabilmente si tratta di un edificio connesso alle attività marittime.

Ulteriori resti di strutture murarie riferibili a infrastrutture legate al porto dovevano essere presenti presso l’attuale spiaggetta nord (ArcheoLido), dove sono stati individuati blocchi irregolari, pietrame e malta generalmente ascritti a epoca romana imperiale. Sia l’edificio che le strutture sembrano avere un nesso con il canale orientato nord-est/sud-ovest, parallelo e poco distante dal bordo del bacino e che in esso scaricava.

Alcuni numeri: la superficie acquea tra i due ipotetici moli descritti è di circa 16.000 mq. L’imboccatura teorica che generavano in antico è calcolabile in m 40 di larghezza, con una profondità massima nell’area attuale di m 6,5.

In questo bacino portuale fu rinvenuta nel 1969 una statuetta in bronzo, di stile ellenistico, attribuibile ad un personaggio femminile. Anche per lo stato di conservazione non eccelso è stata datata, con un ampio excursus cronologico, tra l’età ellenistica a quella tardoantica3. La piccola figura doveva essere un contrappeso da bilancia in quanto fu riempita di piombo, ipotesi rafforzata dalle tracce di un’applique sopra la testa.

Materiali ceramici sporadici rinvenuti sott’acqua documentano un’attività tra l’età ellenistica e quella tardoantica.

Nella zona, al centro della caletta meridionale, sono visibili una serie di blocchi di calcare allineati a secco su due filari e delle dimensioni complessive di di m 3,65 x 1,64. L’interpretazione più verosimile è che possano essere attribuiti ad un lacerto murario in opus quadratum, piuttosto che il carico di un natante impiegato per il trasporto di pietra lavorata dalla cava di provenienza.

Per quanto riguarda la cronologia delle strutture subacquee egnatine una serie di confronti suggerisce il rispetto stringente dei canoni costruttivi vitruviani ed una collocazione tra la fine dell’età repubblicana e l’inizio dell’età imperiale. Alcuni studiosi non escludono che la sistemazione del porto di Egnazia si debba a M. Vipsanio Agrippa, patronus del municipium, come attesta un’epigrafe di cui ci rimane solo il testo e il cui terminus ante quem è il 38 a.C. (CIL, IX, 262). Il tutto si inquadra, infatti, con la fondamentale posizione strategica del litorale salentino nell’ambito della guerra tra Ottaviano ed Antonio e del ruolo di Agrippa, responsabile della flotta di Ottaviano4.

Un recente intervento di pulizia e scavo subacqueo su un lato di una delle pilae a nord, ha consentito di mettere in luce tre corsi integri dell’opus reticulatum con cui era stato costruito tutto il paramento dell’opera. Anche l’opus vittatum è stato intercettato nella parte angolare.

NOTE

1 Στράβων, Γεωγραφικά, VI, 3, 8, 282-283; Strabo., Geogr., VI, 3, 8, 282-283 (ed. MEINEKE A., Geographica, Leipzig, Teubner, 1877): “παραπλέοντι δ᾽ ἐκ τοῦ Βρεντεσίου τὴν Ἀδριατικὴν παραλίαν πόλις ἐστὶν ἡ Ἐγνατία, οὖσα κοινὴ καταγωγὴ πλέοντί τε καὶ πεζεύοντι εἰς Βάριον: ὁ δὲ πλοῦς νότῳ.”

2 Diversi visitatori ed eruditi del XVIII e XIX secolo ricordano e descrivono il porto di Egnazia (cfr. infra). Le prime indagini scientifiche, soprattutto con foto aeree ed ecoscandaglio, si devono a Stefano Diceglie (DICEGLIE 1972; DICEGLIE 1981, tav. II; anche il più recente DICEGLIE 2002). Un’analisi è presente anche in VLORA 1975, pp. 56-61, figg. 35-39. Immersioni e rilievi furono eseguiti nel 1979 da Alice Freschi con la Società Itinera su incarico dell’Amministrazione Provinciale di Brindisi (FRESCHI, ALLOA 1979-80, pp. 60-65 e p. 134; FRESCHI 1980, pp. 450-455) e, sempre dalla Freschi, nel 1994 con la Cooperativa Aquarius (FRESCHI 1995, pp. 141-143). Un quadro di quanto noto nei primi anni ‘80 del secolo scorso si deve ad ANDREASSI, SCIARRA-BARDARO 1982, pp. 107-118. Più recentemente Rita Auriemma ne ha accertato definitivamente la tipologia e le tecniche edilizie (AURIEMMA 2003, pp. 77-97; AURIEMMA 2004, pp. 15-16), confutando ipotesi che negavano la funzione portuale delle strutture (GUERRICCHIO, GUERRICCHIO, MARUCA 1996; GUERRICCHIO, GUERRICCHIO, MARUCA 1997; ANDREASSI, COCCHIARO, MARUCA 2002).

3 ANDREASSI, SCIARRA-BARDARO 1982, p. 114 , fig. 90.

4 Il team del progetto ROMACONS ha effettuato nel maggio 2008 un intervento su una delle pilae eseguendo l’analisi stratigrafica, petrografica e chimica delle malte attraverso un carotaggio. E’ stata effettuata anche una datazione 14C (BRANDON et al. 2014, pp. 93-94, p. 134, pp. 265-266, pp. 288-289). L’età calibrata del campione, prelevato dal conglomerato cementizio interno, ha restituito una cronologia più antica (200 to 50 BC) rispetto a quella ipotizzabile e basata sul paramento in opus reticulatum. L’esame della carota ha evidenziato la presenza di pozzolana, malgrado la pila sia stata evidentemente costruita entro cassaforma asciutta.

BIBLIOGRAFIA

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Andreassi G., Cocchiaro A., Maruca A. (a cura di) 2002, Egnazia. Dalla terra al mare, Bari.

Auriemma R., 2003, Le strutture sommerse di Egnazia (BR): una rilettura, in Atti del II Convegno nazionale di archeologia subacquea (Castiglioncello, 7-9 settembre 2001), pp. 77-97

Auriemma R. 2004, Archeologia subacquea nella Puglia meridionale, in Giacobelli M. (a cura di), Lezioni Fabio Faccenna II. Conferenze di archeologia subacquea (III-IV ciclo), Bari, pp. 11-24

Brandon C., Hohlfelder R., Jackson, M., Oleson, J. et al. 2014, Building for Eternity – The history and Technology of Roman Concrete Engineering in the Sea, Oxford-Philadelphia

Diceglie S. 1972, Il porto di Egnazia, in Osservatorio Geofisico di Fasano (BR), Fasano

Diceglie S. 1981, Gnathia. Forma della città delineata mediante la prospezione archeologica, Bari

Diceglie S. 2002, Nel Mare di Egnazia. Telerilevamento da elicottero di ruderi sommersi in aree estese, C.L.C.A. Università di Bari,

Freschi A., Alloa C. 1979-80, Egnazia, uno studio di storia, in Sesto Continente, I, 5, pp. 60-65 e p. 134

Freschi A. 1980, Egnazia 1979. Ricerche subacquee, in L’epos greco in Occidente, Atti del XIX convegno di studi sulla Magna Grecia, (Taranto 7 – 12 ottobre 1979), Napoli, pp. 450-455

Freschi A. 1995, Fasano (Brindisi), Egnazia, Notiziario 1994 – Taras XV, I, pp. 141-143.

Guerricchio A., Guerricchio M., Maruca A., 1996, Strutture archeologiche fisse sommerse a Vasto ed Egnazia, Arcavacata di Rende (CS).

Guerricchio A., Guerricchio M., Maruca A., 1997, Sul presunto antico porto romano di Egnazia (BR), Arcavacata di Rende (CS).

Vlora N.R. 1975, Considerazioni sulle variazioni della linea di costa tra Monopoli (Bari) ed Egnazia (Brindisi), Bari

Vitruvio e il De Architectura
Le principali informazioni sulla costruzione delle strutture portuali in età romana provengono dal De Architectura (V, XII) di Vitruvio. Il mondo antico ci ha tramandato altre fonti che trattano l’argomento in maniera generale, come quella di Flavio Giuseppe per la costruzione del porto di Caesarea Maritima (Antichità Giudaiche XV, 331-338; La guerra giudaica I, 409-413), o quella di Procopio di Cesarea (De aedificiis 1, 11, 18- 20).
Comprendere alcuni passi di Vitruvio per noi moderni non è semplice. L’autore dà infatti per scontate alcune conoscenze di base da parte del lettore, oppure ha ripreso informazioni direttamente da altre fonti non essendo egli stesso ferrato sull’argomento. La prosa che ne scaturisce è spesso costruita in maniera involuta con una terminologia a volte non facilmente interpretabile.
Dopo aver dato informazioni sul rapporto esistente tra le condizioni dei luoghi di costruzione e la progettazione dell’opera, Vitruvio relaziona sulle principali tecniche di costruzione in acqua. Le prime due si riferiscono direttamente alle gettate entro cassaforma lignea in situ, mentre la terza tratta della costruzione prefabbricata realizzata a terra da trasportare sul luogo in un secondo tempo.

Cos’è la pozzolana
La pozzolana (pulvis puteolanus) è il materiale fondamentale per realizzare un’opera cementizia completamente idraulica e, quindi, in grado di solidificare sott’acqua. Da un punto di vista mineralogico si tratta di una piroclastite sciolta con inclusi ghiaiosi costituiti in prevalenza da pomici e scorie vulcaniche. Veniva appunto chiamata pulvis puteolanus perché in preferenza estratta dall’area dei Campi Flegrei.
Lo stesso Vitruvio la descrive in questo modo: «… esiste, infatti, un genere di polvere che produce effetti naturalmente meravigliosi……; non solo rende solido ogni genere di costruzione ma, [grazie ad essa], “tirano” anche le strutture che si edificano in mare sott’acqua (II, VI, 1)».
Ovviamente la disponibilità di questo materiale era la conditio sine qua non per costruire strutture portuali. La sua assenza in zona era comunque spesso colmata con l’importazione, anche nella stiva delle navi onerarie che la trasportavano molto spesso come carico di ritorno per non viaggiare vuote.

Le tre tecniche descritte da Vitruvio

Costruzione in cassaforma non stagna
«Quindi, nel punto stabilito, si devono affondare e bloccare in sicurezza delle casseforme tenute insieme da montanti di quercia e tiranti trasversali; poi, nel vano interno, [lavorando] dalle traversine si deve livellare e pulire il fondale e gettare la malta, preparata come è spiegato sopra, mischiata a pezzi minuti di pietra, fino a che lo spazio tra le paratie non sia riempito di calcestruzzo».
Interpretando Vitruvio le fasi di questa tecnica potevano essere le seguenti: si costruiva a terra uno scheletro elementare della cassaforma che veniva trascinato e rifinito in situ. Una volta posizionata la struttura venivano battuti i pali verticali con puntazza in ferro (stipites) perimetrali per tenerla ancorata al fondo, infissi i pali verticali con una battipalo e le tavole di contenimento. Gli elementi lignei orizzontali di raccordo (catenae), già montati, servivano a tenere in “forma” la cassaforma ed a bilanciare la spinta verso l’esterno del calcestruzzo appena gettato. Sulla sezione più elevata delle catenae, quella che sporgeva dall’acqua, veniva alloggiato un tavolato che aveva la funzione di base d’appoggio per tutte le lavorazioni, come la purgatio (pulizia) del fondale, la gettata del cementizio o le impalcature per gli elevati che dovevano poggiare sulla cassaforma.

Disegno di un meccanismo battipalo del XVIII secolo che doveva essere molto simile a quelli di epoca romana (da SILBERSCHLAG J.E., Abhandlung vom Wasserbau an Stroemen, Leipzig 1769)

Disegno di operai del XVIII secolo impegnati con un battipalo a mano (mazzapicchio). Anche questo strumento doveva essere diffuso in epoca romana

Ovviamente questa tecnica non consentiva la costruzione di paramenti faccia a vista. La malta cementizia veniva gettata a diretto contatto con le tavole della cassaforma. Malgrado ciò si tratta di una procedura che ebbe un enorme successo nel mondo antico perché estremamente versatile ed in grado di adattarsi a diversi ambienti che non necessariamente richiedevano un getto entro cassoni predeterminati.

Costruzione in cassaforma stagna
«In quei luoghi invece, in cui non si trova la pozzolana, si dovrà seguire questo procedimento: nel punto che si sarà delimitato si impiantino delle casseforme a doppia parete, tenute insieme da tavole riportate e traverse, e tra i montanti [interni alle casseforme] si compatti dell’argilla in panieri fatti d’alga di palude. Quando l’argilla sarà compressa al massimo, allora con pompe a vite, ruote e tamburi acquari installati si svuoti e asciughi lo spazio circoscritto con questo recinto stagno, ed entro le casseforme si scavino le fondazioni».
Leggendo Vitruvio è evidente che questa seconda tecnica veniva impiegata quando la pozzolana non era disponibile e doveva per forza essere impiegata una tecnica più tradizionale.
In questo caso le paratie della cassaforma erano doppie perché lo spazio fra esse era riempito di argilla pressata che doveva evitare l’ingresso dell’acqua.
Un metodo costruttivo del genere ben si adattava a strutture non troppo ampie come le pilae, piuttosto che a lunghi moli.

I due tipi di casseforme: in primo piano quella inondata, appresso quella stagnata (da Perrault C. 1673, Vitruve, les dix livres d’architecture [traduction intégrale de C. Perrault, revue et corrigée sur les textes latins et présentée par A. Dalmas], Paris 1965.)

Costruzione a blocchi prefabbricati
«Qualora invece, per via delle onde e della forza del mare aperto, le palificate non potessero trattenere le casseforme, allora dalla terraferma o dalla banchina si costruisca quanto più solidamente possibile un basamento; questo basamento si costruisca in modo che abbia una superficie, per meno della metà in piano, e il resto, la parte verso la spiaggia, inclinata. Quindi, sul fronte a mare e sui lati si costruiscano al basamento degli argini, allo stesso livello della superficie in piano descritta sopra, larghi circa un piede e mezzo; poi l’inclinazione sia riportata con della sabbia alla quota dell’argine e del piano del basamento. Quindi sopra questo piano si costruisca un blocco, grande quanto si sarà stabilito; quando sarà pronto, lo si lasci a tirare per almeno due mesi. Allora si demolisca l’argine che contiene la sabbia; in questo modo la sabbia, dilavata dalle onde, provocherà la caduta in mare del blocco. Con questo sistema, ogni volta che servirà si potrà ottenere un avanzamento in mare».
A livello archeologico non abbiamo, ad oggi, testimonianze dell’applicazione di questo metodo. La testimonianza poetica di Virgilio (Aen., 9, 710 e ss.), però, ci conferma che esso era certamente impiegato.

Vista l’importanza della città messapica e romana, le strutture dell’antico porto di Egnazia compaiono anche nei resoconti di visitatori eruditi e studiosi tra XVIII e XIX secolo.

Nel 1745 Francesco Maria Pratilli , nella sua opera Della Via Appia, oltre a restituirci una prima pianta della città, ricorda la presenza di acqua sorgiva nei pressi della cinta muraria a mare, definita dai locali fontana di Agnazzo.

Poiché il Pratilli non godeva di buona fama come studioso ed era anche noto come falsario di epigrafi antiche, questa sua testimonianza viene pesantemente messa in dubbio da Ludovico Pepe , un archivista pugliese che nel 1882 scrisse la prima monografia sull’antica città messapica e non riscontrò traccia alcuna della fontana, e anzi, evidenziò l’insufficienza di risorse idriche  della zona. In realtà la presenza di acqua potabile è menzionata da altre fonti più o meno contemporanee e recenti indagini di carattere paleoambientale hanno confermato la possibilità della sua esistenza. Una mappa del XVIII-XIX secolo, conservata presso l’Archivio di Stato di Bari, riporta, parimenti, la localizzazione di “fontane”. Il riferimento alla presenza di acqua potabile è fondamentale per accreditare la tesi che il porto romano continuò ad essere utilizzato anche in età medievale e moderna, non solo a causa della fortificazione che lo controllava e che rappresentava un punto notevole di orientamento dal mare, ma soprattutto perché era luogo di acquata in una zona dove l’acqua scarseggiava.

Negli anni 80 del ‘700 l’abate di Saint-Non, umanista e archeologo, compie un viaggio nel meridione italiano che dà origine ad un’opera enciclopedica pubblicata nell’arco di un lustro. Nel parlare di Egnazia afferma che “Si vedono ancora i resti di quello che potrebbe essere un molo. La costruzione di questo molo non era antica ma era stato edificato sulla costa con il materiale dell’antica città…”.

Emanuele Mola, Sovrintendente alle Antichità di Bari, in un’opera del 1796 sembra aver intravisto, ben conservate, le strutture del porto sommerso: “Il maggior cambiamento però di quel lido parmi che si ravvisi nel porto dell’antica città, il quale resta oggi sotto la Torre militare detta di Anazzo, e che serba ancora tutta la figura del suo antico stato.”

Ma è l’archeologo francese François Lenormant che in un articolo scritto nel 1882 sulla “Gazette archéologique” descrive molto bene l’antico approdo egnatino: “La pianta della città è un quadrato allungato, uno dei cui lati lunghi costeggia il mare. Vicino alla riva, su una piccola collina con una leggera pendenza, posta ad uguale distanza rispetto ai due lati corti del rettangolo e, di conseguenza, a metà della città, è stata costruita l’acropoli, le cui mura sono pure ben conservate e chiaramente caratterizzate come quelle della cinta esterna dell’abitato. Questa fortezza sovrastava e proteggeva due piccoli bacini quadrati, in parte scavati o regolarizzati a mano, tra i quali era collocata, uno a nord e l’altro a sud della collina. Vi si distinguono ancora sott’acqua le strutture divisorie, in parte conservate, delle cale delle galee.”

Sempre nel 1882 il già citato Ludovico Pepe, nella sua monografia su Egnazia, affronta la problematica relativa al porto con una discussione sulle ipotesi degli studiosi precedenti.

 

Museo nazionale “Giuseppe Andreassi” e parco archeologico di Egnazia

Il Museo Archeologico di Egnazia, parte integrante del magnifico Parco che comprende i resti scavati della città antica, è gestito dal Polo Museale della Puglia. E’ stato dedicato a Giuseppe Andreassi, il Soprintendente che, più di tutti, ha promosso la valorizzazione dell’importante insediamento.

La fondazione del Museo risale agli anni ‘70 del secolo scorso, allorché si decise di esporre i reperti degli scavi effettuati a partire dal 1912.

L’attuale allestimento traccia, quindi, la storia e l’urbanizzazione della città partendo dalle prime testimonianze del XVI secolo a.C. Il percorso di visita è stato suddiviso in sette sezioni, che comprendono anche siti vicini che hanno contribuito allo sviluppo della città, come Monopoli, Torre S. Sabina, Mesagne e Cavallino. Molta attenzione è dedicata anche alle parti messapica, romana, tardoantica e medievale.

L’ingresso del Museo Nazionale Archeologico di Egnazia

La colonizzazione biologica delle pilae

Sono state prese in esame le pile dell’antico porto sommerso. Si tratta di murature in opus reticulatum  costruite con cubilia di pietra calcarea e malte cementizie.

Il degrado dei cubilia

Le murature in opus reticulatum presentano una netta differenza nello stato di conservazione tra le parti più basse, ben conservate in quanto protette dalla copertura sabbiosa del fondale, e quelle sovrastanti che, costantemente esposte, presentano i cubilia molto degradati. Le malte risultano al contrario meglio preservate.

Schematizzazione dello stato di conservazione e rappresentazione grafica della dinamica dell’erosione del materiale lapideo costitutivo

La colonizzazione biologica

Le superfici esposte delle pile mostrano una proliferazione biologica tipica dei substrati lapidei sommersi. Si rileva infatti la presenza di una densa copertura biotica costituita da una moltitudine di microrganismi ed organismi che a volte occultano completamente il materiale costitutivo. Nel disegno viene schematizzata la crescita biologica nel tempo, ponendo rilievo sull’effetto di ricoprimento dei reperti.

Le alghe

I principali componenti della copertura biologica sono gli organismi micro e macroscopici fotosintetizzanti, ovvero le alghe che, con la loro estrema variabilità di forme e colori, creano un soffice strato, a volte compatto sul materiale lapideo. Nella tavola che segue sono illustrati i principali e più diffusi componenti algali, con specie appartenenti alle alghe verdi (Chlorophyceae), alghe Brune (Phaeophyceae) e alghe rosse (Rhodophyceae). Nella tabella sono riportate le specie più frequentemente presenti sulle strutture murarie delle pile.


Molte specie di alghe rosse hanno la capacità di incrostarsi e possono formare strati calcarei piatti, fortemente aderenti alla pietra, o strutture ad alberello, riconoscibili dal colore rosato o violaceo.

Le immagini al SEM, in bianco e nero, mostrano lo scheletro calcareo che sostiene le cellule vegetative e le strutture riproduttive.

Gli animali

La copertura biologica è risultata costituita anche da numerose forme animali sessili che si sono impiantate a livello di uova e larve sulle superfici ed hanno poi continuato il loro sviluppo dando luogo a strutture più o meno appariscenti e importanti nel processo di degrado dei manufatti.

Numerosi sono i gruppi animali rinvenuti, diversi tra loro per morfologia, dimensioni e colorazione.

 

Le spugne

Questo raggruppamento tassonomico comprende animali dalla struttura molto semplice, rappresentabile come una sorta di sacca avente aperture da cui si effettuano le funzioni vitali veicolate dall’acqua. Nella tavola sono illustrate alcune delle specie di spugne che tappezzano le superfici o vivono all’interno del materiale.

Scopri i nostri reperti in 3D

Tra i reperti di origine subacquea soltanto una statuetta bronzea femminile proviene dall’area del porto romano di Egnazia. Si tratta di un oggetto molto interessante perché quasi certamente interpretabile come un peso da stadera, strumento direttamente connesso alle attività commerciali.

Gli altri reperti presentati nel Museo virtuale provengono da zone più o meno vicine ad Egnazia (ad es. Monopoli) e sono da riferirsi a consegne spontanee degli scopritori o a sequestri operati dalle autorità di polizia.

Molto interessanti le ancore litiche,che hanno sempre suscitato un importante dibattito tra gli studiosi, come anche i cosiddetti corpi morti “a ciambella”.

Il ritrovamento di un dolium lungo queste coste suscita riflessioni sulle rotte delle onerarie che li trasportavano, aggiungendo un ulteriore tassello ad un quadro ben lungi dall’essere completato.

Ci piace segnalare, infine, un’anfora del tipo Late Roman 1, che conferma l’importanza commerciale della Puglia tardo antica e bizantina.

STATUETTA FEMMINILE IN BRONZO

Statuetta femminile in bronzo, ritrovata in mare in una delle insenature del porto, riempita di piombo per essere utilizzata come contrappeso. Molto consunta (viso e mani). Traccia di possibile applique sulla testa. Interpretabile, probabilmente, come peso di stadera. Degrado biologico Il manufatto non presenta tracce di colonizzazioni…

CORPO MORTO A “CIAMBELLA”

Statuetta femminile in bronzo, ritrovata in mare in una delle insenature del porto, riempita di piombo per essere utilizzata come contrappeso. Molto consunta (viso e mani). Traccia di possibile applique sulla testa. Interpretabile, probabilmente, come peso di stadera. Degrado biologico Il manufatto non presenta tracce…

ANCORA LITICA TRAPEZOIDALE

Statuetta femminile in bronzo, ritrovata in mare in una delle insenature del porto, riempita di piombo per essere utilizzata come contrappeso. Molto consunta (viso e mani). Traccia di possibile applique sulla testa. Interpretabile, probabilmente, come peso di stadera. Degrado biologico Il manufatto presenta evidenti tracce…

PICCOLA ANFORA

Piéri D. 2005, Le commerce du vin oriental à l’époque Byzantine, Beirut, Reynolds P. 1995, Trade in the western Mediterranean, AD 400-700: the Ceramic evidence, British Archaeological Reports International Series Caratteristiche La forma si è evoluta considerevolmente tra il IV ed il VII secolo…

GRANDE DOLIUM

Degrado biologico Il manufatto si presenta interamente colonizzato da un popolamento di organismi incrostanti costituito quasi esclusivamente da policheti sedentari appartenenti a diversi generi. Si osservano infatti tubicini calcarei di diverse dimensioni, di forma allungata o avvolta a chiocciola, diversamente ornamentati in superficie. In minore…

OLLETTA

Olletta di forma approssimativamente biconica con bordo fine, leggermente estroflesso e ansetta a lingua estroflessa, spiccante dal bordo. Fondo piano. Ceramica raffinata a pareti sottili. Degrado biologico Il manufatto presenta una colonizzazione epilitica incrostante eterogenea nella quale si notano numerosi esemplari di policheti Serpulidi caratterizzati…

ANCORA LITICA TRAPEZOIDALE

Ancora litica di forma trapezoidale arrotondata con tre fori passanti. Quello apicale era utilizzato per la cima, mentre i due paralleli in basso ospitavano due unghie lignee. Degrado biologico Il manufatto presenta tracce di perforazioni operate da organismi animali endolitici. Si notano numerosi piccoli fori…

CONTENITORE METALLICO

Frammento di contenitore metallico concrezionato di forma globulare con bordo arrotondato (cartellino indica erroneamente spalla con collo d’anfora) Degrado biologico Il manufatto non presenta segni di degrado biologico.   Bibliografia

ANCORA LITICA CAMPANIFORME

Ancora litica campaniforme con due fori quadrangolari sull’asse verticale . Fori di organismi litofagi. Degrado biologico Il reperto presenta evidenti tracce di perforazioni operate da organismi animali endolitici, la cui distribuzione risulta differente sulle due superfici piatte. Il lato di colore biancastro mostra piccoli fori…