Statuetta femminile in bronzo, ritrovata in mare in una delle insenature del porto, riempita di piombo per essere utilizzata come contrappeso. Molto consunta (viso e mani). Traccia di possibile applique sulla testa. Interpretabile, probabilmente, come peso di stadera.
Il manufatto non presenta tracce di colonizzazioni biologiche, probabilmente per via delle caratteristiche petrografiche del litotipo, che tende a disgregarsi in minuti frammenti.
Bibliografia
Molti studiosi si sono cimentati nello studio delle c.d. ancore litiche. Tra essi Honor Frost, Dan E. McCaslin, Alessandra Nibbi, Shelley Wachsmann e János Attila Tòth hanno elaborato delle cronologie e tabelle spesso tra loro contrastanti. Possiamo comunque affermare che questa tipologia, proprio per la sua semplicità, è indubbiamente assai antica ed è riscontrabile fin dall’età del Bronzo, come testimoniano gli esemplari rinvenuti nel santuario di Ugarit. Certamente non circoscrivibile solo a questo periodo, come affermato da McCaslin, visto che i relitti di Antidragonera e di Ognina D ne hanno restituito alcune. Un discorso analogo vale per le teorie della Frost, che alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso le voleva impiegate solamente sulle navi fenice e abbandonate nell’età del Ferro a causa del peso.
A dimostrazione che questa particolare tipologia di ancora ha avuto un utilizzo cronologicamente ampio possiamo menzionare i reperti di epoca medievale (XIV secolo), con uno o più fori, pubblicati da Avner Raban e provenienti dal porto di Cesarea da stratigrafie certe e sigillate. Sempre Raban ne documenta l’uso in Italia anche in anni recenti.
E’ certo, inoltre, che molti di questi reperti abbiano avuto usi alternativi a quelli più intuitivi dell’ancoraggio. Forme particolari sembrerebbero ricondurre più ad utilizzi legati alla pesca come corpi morti o a pietre da trebbiatura reimpiegate.
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